Gli interessi della democrazia

Attaccando la riforma-truffa del Senato, Berlusconi non sta solo facendo politica, ossia cercando di impedire a Renzi di diventare troppo potente. Paradossalmente, Berlusconi sta anche facendo democrazia – una pratica a cui gli italiani si stanno rapidamente democraziaDaviddisabituando.
Democrazia non è ecumenismo: non è dunque il processo grazie a cui si raggiunge un consenso il più ampio possibile con qualsiasi mezzo, in particolare attraverso compromessi e trasformismi. Democrazia è dissenso. In un sistema democratico la molteplicità di opinioni e di comportamenti non costituisce un ostacolo da superare, sia pure in maniera pacifica e con tolleranza reciproca; è invece un patrimonio di diversità da mantenere, difendere, incoraggiare. Perché, contrariamente a quanto credono la destra e, temo, buona parte della gente (siamo in un’epoca in cui a dominare culturalmente è l’individualismo liberista), lo scopo della democrazia non è la governabilità: è la rappresentatività. Non è la ricerca dell’unanimità: è la capacità di accettare la differenza. Non è il pensiero unico: è il pensiero plurimo.
L’Italia stava avviandosi a diventare, e forse accadrà comunque, un paese in cui la maggioranza avrebbe governato senza impedimenti e, peggio, senza alcuna significativa opposizione. Senza badare al fatto che un governo senza opposizione è un regime totalitario, anche quando indicesse elezioni (che inevitabilmente diventerebbero meri plebisciti) o garantisse la libertà di stampa e di opinione (che si esaurirebbe nel gossip, nel culto delle celebrity e nel conformismo).
Ovviamente a Berlusconi importa poco della democrazia: sta solo facendo i suoi interessi. Ma proprio questo è democrazia: l’opportunità, offerta a tutti, senza riguardo alla condizione sociale o economica, di fare i propri interessi. Fare gli interessi degli altri, ossia della collettività, è il compito di una differente pratica sociale: la morale (che ovviamente Berlusconi proprio non sa cosa sia). Morale e democrazia sono entrambe indispensabili per il buon funzionamento di uno stato o di una comunità: però non vanno confuse. Chi cerca di confonderle, punta a indebolire entrambe.
Il compito di una sinistra vera dovrebbe allora essere quello di far prendere coscienza alla gente delle sue reali esigenze, dei suoi concreti interessi: mentre da almeno vent’anni non fa che cercare di convincerla che deve adeguarsi alle esigenze e agli interessi del mercato. Dietro c’è un’idea minimalista della democrazia, tipicamente di destra: la democrazia come male minore. Lo diceva Churchill: la democrazia è la peggior forma di governo con l’eccezione di tutte le altre. Ma Churchill era, appunto, ricco, aristocratico e reazionario e come tale ossessionato dal potere. La democrazia non è una forma di governo e tanto meno di potere. La democrazia è una procedura, grazie alla quale possono emergere soluzioni non previste, non anticipabili secondo gli schemi e i pregiudizi dominanti, e neppure secondo la morale. La democrazia, solo la democrazia, consente il ricambio: non sempre però, né in maniera lineare, e spesso a scapito della governabilità, che è intrinsecamente conservatrice e per questo piace ai liberisti. In un mondo che sta precipitando verso la catastrofe ambientale, sociale e culturale, servono idee, serve diversità, serve immaginazione, servono aperture. Servono contrasti. Serve molta più democrazia e molta meno governabilità. Da lì la sinistra deve ripartire. Senza aspettare le imbeccate di Berlusconi.

[Questo articolo è apparso anche nella mia rubrica Left Turn sulla VOCE di New York].

A sinistra di sé stesso

La cordata L’Espresso/La Repubblica/Einaudi (in un tempo ormai perduto marchi che garantivano contenuti progressisti) pubblica e pubblicizza l’autobiografia di Scalfari: “Scalfari racconta Eugenio. Gli incontri, gli affetti, le passioni di una vita all’insegna scalfarieugeniodell’impegno e della ricerca intellettuale. Il racconto di un’avventura fuori dal comune”. Chissà com’è stato possibile che malgrado gli insegnamenti di un simile maestro l’Italia si trovi in mano a nullità come Renzi e Alfano. Forse perché le avventure “fuori dal comune” di Scalfari non implicavano grandi idee o rischi o sacrifici ma piuttosto snobismo, arroganza e narcisismo. In effetti la crisi della sinistra italiana ed europea la si trova condensata nello slogan scelto per lanciare il volume: “Scalfari racconta Eugenio”; uno sprofondare nell’autoreferenzialità, nel culto della personalità, nel mito liberista delle celebrity. È un percorso che si andava già delineando negli anni settanta, quando apparve il Roland Barthes par Roland Barthes. Mescolare e confondere la dimensione pubblica (impegno, ricerca intellettuale) e quella personale (affetti, passioni) è stata la strategia culturale con cui il capitalismo ha liquidato l’eredità dell’illuminismo e il sogno della solidarietà sociale aprendo le porte alla privatizzazione dello stato e alla dittatura dei media e dei consumi.