Rottamatori di passato

Matteo Renzi, copiando i neoliberisti americani, gioca la carta generazionale principalmente per uno scopo: staccare dai giovani i ricordi degli adulti e degli anziani, la memoria di tempi diversi. rottamazione400L’appiattimento sul presente gli è necessario per sostituire anche in Italia il culto del successo all’etica: in modo che chi vince sia automaticamente giustificato, a prescindere dal valore dei risultati e dalla correttezza delle procedure.
Per resistere a questa ideologia dell’amoralità bisogna continuare a raccontare il passato, a difendere le vittorie che abbiamo ottenuto o di cui a nostra volta abbiamo sentito parlare: come un processo unico, che subisce pause e sconfitte ma non si interrompe. Perché se furono possibili un tempo sono possibili ancora. Accettare la scomparsa del comunismo è stato in questo senso uno sbaglio gigantesco: e se ne vedono le conseguenze, con una sinistra priva di continuità, di riferimenti, di identità, disposta a seguire il primo pifferaio che promette il potere.
Le vere innovazioni e il vero progresso non hanno paura di confrontarsi con le tradizioni, con la cultura: perché le tradizioni e la cultura non sono immobili, come le vorrebbero gli integralisti; sono anzi strumenti di evoluzione, di adattamento. Chi invece parla di rottamare qualcosa, che si tratti di automobili o di idee o di persone, sta solo facendo del lobbismo: non essendo cioè capace di proporre qualcosa di migliore, che si imponga per suoi meriti intriseci, vuole che sia artificiosamente creato un vuoto in cui insinuarsi.

L’esperienza del possibile

Nelle sue considerazioni sull’importanza della storia Nietzsche si domandò per quale motivo dedicare attenzione ai monumenti del passato, nietzschemunch400quelli architettonici e quelli del pensiero, possa essere utile agli individui e alle comunità. A che serve la conoscenza delle conquiste di un tempo ormai perduto o comunque andato? La sua risposta è fondamentale: serve, scrisse, a farci capire che “la grandezza, la quale un giorno esistette, fu comunque una volta ‘possibile’, e perciò anche sarà possibile un’altra volta”.
Per questo il neocapitalismo liberista detesta la cultura, le tradizioni e i classici, per questo impone un consumismo compulsivo di merci e di idee, per questo vuole rottamare il passato, anche recente. Per impedire alla gente, e ai giovani in particolare, di accorgersi che altri modelli furono e dunque restano possibili, altri stili e ritmi di vita, altri valori, altri ideali; che niente è scritto nel libro del destino eccetto quello che scegliamo di scriverci.

Gettoni, iPhone e retorica del nulla

Renzi pratica una deliberata strategia di svuotamento del linguaggio: la chiarezza e la logica infatti impongono una certa misura di coerenza anche a chi cercasse di travisare la realtà, touchscreenpublicphone400mentre le chiacchiere senza senso e le allusioni oblique legittimano qualsiasi improprietà e menzogna; peggio, rendono equivalenti il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, i fatti e gli inganni. È per questo che un filosofo americano, Harry Frankfurt, ha affermato che i cazzari sono più pericolosi dei bugiardi.
Porto un esempio recente, dal discorso di Renzi al termine della sua sagra autocelebrativa alla Leopolda. Ecco cosa ha detto dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: “È una regola degli anni settanta, siamo nel 2014, è come prendere un iPhone e dire dove metto il gettone?”.
Tralascio l’aspetto più inquietante, cioè l’assunto che una legge possa, anzi, debba, essere revocata solo perché vecchia. Invece di discuterne i meriti o demeriti, ci si limita a rimarcarne l’età: in modo da poter realizzare quella “deregulation” che proprio a partire dagli anni settanta è il programma del liberismo: cancellare le conquiste del passato per tornare all’unica legge originaria, quella della giungla, in cui a vincere sono i più forti, i più furbi, i più ricchi.
Siccome di mestiere mi occupo di letteratura e linguaggio vorrei invece soffermarmi sulla similitudine usata da Renzi. Le figure retoriche non sono combinazioni casuali di vocaboli o immagini: devono avere una logicità, altrimenti sono insensatezze o, peggio, sintomi di approssimazione, impreparazione, arroganza. Io posso dire, visto che lo detesto, che Renzi è un venditore di fumo; ma non potrei dire che Renzi è un venditore di Pepsi Cola. L’immagine di un gettone nell’iPhone è concettualmente assurda: perché gli smartphone sono telefoni personali, mica pubblici; e neppure nei remoti anni settanta i telefoni personali usavano gettoni. Anche allora, in sostanza, se qualcuno avesse preso un apparecchio di casa, con filo o senza fili, e si fosse chiesto dove mettere il gettone, sarebbe sembrato scemo.
Aggiungo che se davvero Renzi si interessasse di tecnologia e non facesse solo finta, forse saprebbe che da qualche mese a New York al posto dei telefoni pubblici a moneta (in America, patria della Apple, i gettoni telefonici furono abbandonati nel 1944) stanno mettendo degli schermi tattili. Lo stesso sta avvenendo a Parigi e, sono sicuro, in altre città. A quei “public smart phone” (così li ha definiti l’Espresso) avrebbe dovuto fare riferimento, non all’iPhone.
Ma che gliene frega a Renzi della proprietà delle metafore o della coerenza del linguaggio? Trasmette solo impressioni, suoni: dice “iPhone” perché il suo pubblico ce l’ha in tasca o desidera di possederlo, un’illusione di cambiamento a portata di mano, facile come mandare un tweet. Intanto, fuori della Leopolda, la loro polizia manganella gli operai che protestano contro le delocalizzazioni e i ricatti del capitale. Di ben altro che di un gadget di plastica c’è bisogno per cambiare il mondo e salvare la nostra civiltà, di ben altro che di qualche confusa similitudine, di ben altro che della presunzione di chi crede di poter creare un futuro migliore sulle macerie di un passato rottamato senza sapere, senza pensare, senza capire.